Auto elettriche: anche l'Ue pensa a nuovi incentivi
25 mag 2020 | 3 min di lettura | Pubblicato da Christian T.
Previsto un piano di sostegno di 100 miliardi
Siamo abituati a non fidarci degli annunci o delle notizie che trapelano sul fronte degli aiuti economici dell'Unione Europea visto che difficilmente i leader dei vari Paesi trovano un'intesa, ma questo potrebbe mettere d'accordo tutti perché investe il mondo della sostenibilità ambientale, caro agli Stati europei e capace di vincere le resistenze anche dei più “frugali”. La Commissione Ue sta facendo circolare una bozza di piano di sostegno al settore auto di 100 miliardi di euro al fine di promuovere un trasporto più ecologico, in primis a favore delle auto elettriche. Di questi investimenti, ai mezzi a batteria dovrebbero essere destinati 40-60 miliardi, sulla base del dato per cui il traffico automobilistico sarebbe responsabile del 75% del totale emissioni del settore trasporti.
Il piano sarebbe coerente con l'European Green Deal annunciato prima della pandemia da Coronavirus e che l'emergenza ha relegato sullo sfondo e sarebbe uno stimolo ideale per uno dei settori più colpiti: quello automobilistico.
I dati mondiali sul 2020 raccolti dall'Ispi, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, sono tremendi. A causa delle misure di contenimento che Covid19 ha reso necessarie un po' ovunque il crollo del settore auto ha fatto registrare dati mai visti: ad aprile le nuove immatricolazioni in Europa sono calate del 76% rispetto all'anno precedente, mentre nel complesso i primi 4 mesi del 2020 vedono un -38%. E parliamo di un settore che occupa il 6% della forza lavoro del vecchio continente e pari al 7% del Pil, oltre a rappresentare il 12% del totale delle esportazioni europee.
Non va tanto meglio negli Stati Uniti che pur non fornendo ancora cifre definitive, stima in un -45/50% la diminuzione delle vendite per il mese di aprile. In Brasile siamo a -75,9%, mentre il Messico denuncia un clamoroso -99% nella produzione di automobili. In Cina iniziano a vedersi segnali di ripresa dato che il Paese asiatico è stato colpito prima dal virus e ora è già in fase avanzata di ripartenza, le immatricolazioni di aprile sono cresciute del 4,4%, ma scontano comunque un -42% registrato nel primo trimestre.
Insomma, è necessario ripartire e anche in fretta. Tirando le somme su quanto sta avvenendo nel mondo sul fronte economico, le direttrici per il prossimo futuro sembrano chiare. Primo: si guarda alle istituzioni per il sostegno alle imprese; alla luce della crisi del 2008, oggi sappiamo che solo grazie agli aiuti di Stato o a quelli delle organizzazioni sovranazionali, si potrà sperare in una ripresa il più celere possibile. Secondo: tutti sembrano orientati a sfruttare la tragedia dell'epidemia per imprimere una forte accelerazione alla svolta sostenibile, legando le sovvenzioni a un cambio di rotta verso un futuro ecologico.
Meno diffusa e meno unanime nel consenso, ma potenzialmente più dirompente, un'altra tendenza stimola gli analisti delle economie più avanzate: il re-shoring. Con questo termine si intende il contrario della cosiddetta delocalizzazione, ovvero la pratica di molte industrie atta a spostare la produzione dei beni in Paesi dove i costi (a partire dalla manodopera) sono più bassi. Oggi molti si chiedono se non sia il caso di legare l'ottenimento degli aiuti di Stato da parte delle aziende a progetti che impongano la riapertura delle fabbriche (con la relativa creazione di posti di lavoro) nei Paesi di origine.
A nessuno è dato sapere se queste idee saranno seguite e adottate su larga scala, ma uno degli effetti positivi di questa pandemia sta proprio nell'aver acceso un dibattito su temi che il capitalismo più cinico si è sforzato per anni di affossare.
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