Pezzi troppo cari: l'Ue studia un “diritto alle riparazioni accessibili”
27 apr 2023 | 2 min di lettura
Le organizzazioni di settore avanzano tre proposte
L'indirizzo è giusto, ma il percorso potrebbe essere migliore e più veloce. Stiamo parlando di un “diritto europeo alle riparazioni accessibili”. Cosa vuol dire? Oggi sostituire delle componenti auto è, spesso, costoso. Soprattutto per una ragione: chi produce le auto obbliga i clienti a sostituire pezzi “proprietari”. E spesso riparare diventa così oneroso da spingere a comprare un'auto nuova. Di fatto, è una limitazione del libero mercato che fa lievitare i prezzi e pesa sugli automobilisti.
L'Unione europea si è mossa per introdurre dei correttivi, con la direttiva e il regolamento Ue Design. Alcune organizzazioni che rappresentano le aziende di assicurazioni – tra cui Insurance Europe - e ricambi hanno però scritto al Parlamento europeo per migliorare la proposta.
Cosa cambierebbe per gli automobilisti
I firmatari apprezzano lo sforzo di armonizzare il panorama europeo con l'introduzione di una “clausola di riparazione”, che oggi è in vigore solo il 13 Stati dell'Unione. Ma, spiegano, “al di là delle buone intenzioni”, sono necessari alcuni miglioramenti per sciogliere quello che le organizzazioni definiscono “un monopolio del post-vendita” sui pezzi di ricambio.
I cambiamenti previsti, se approvati, “garantirebbero maggiore concorrenza e promuoverebbero l'innovazione”. A tutto vantaggio dei consumatori. Nella lettera, i rappresentanti di settore stimano un risparmio annuo tra i 450 e i 720 milioni di euro. Al contrario, nei Paesi dove non esiste una “clausola di riparazione” concorrenziale, i prezzi dei ricambi – che rappresentano circa la metà dei costi di riparazione di un'auto – sono saliti in modo più accentuato.
Le tre proposte
Tre sono, quindi, gli interventi richiesti. Prima di tutto, c'è l'esigenza di includere nelle nuove norme non solo i pezzi futuri ma anche quelli già in commercio. Limitare l'intervento prolungherebbe non poco la posizione di potere delle case produttrici, anche perché la proposta Ue prevede un periodo di transizione di dieci anni. E questo è il secondo punto sul quale si potrebbe intervenire. Secondo i firmatari della lettera, il periodo di passaggio – entro il quale gli Stati membri sono obbligati ad adottare la direttiva – dovrebbe essere al massimo di tre anni. Infine, la terza richiesta: una definizione più chiara e precisa delle componenti interessate, per evitare di prestare il fianco a cavilli e scappatoie.
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