Stop alle auto benzina e diesel: quali sono i Paesi contrari?
13 mar 2023 | 2 min di lettura
C'è ancora una (stretta) via per evitare che, dal 2035, venga bloccata la vendita di auto diesel e benzina. E ci sono alcuni Paesi, tra i quali l'Italia, che cercheranno di percorrerla. A febbraio, il Parlamento europeo ha approvato il provvedimento. Già osservando la distribuzione dei voti, si nota come la decisione sia stata travagliata: 340 favorevoli, 279 contrari e 21 astenuti. Ma il fronte dei critici si amplia.
La posizione dell'Italia
In una recente intervista a La Stampa, il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha definito il piano “inaccettabile”. I tempi andrebbero stabiliti “dialogando con i produttori”, preferibilmente senza una data unica europea. A rischio ci sarebbero “70mila posti di lavoro”.
Il fronte dei critici
Dire stop alla vendita di diesel e benzina in poco più di dieci anni è senza dubbio una sfida, considerando anche che i produttori dovranno dimezzare le emissioni già entro il 2030. Un provvedimento destinato a incidere sull'automotive e – di riflesso – su componentistica e servizi per la mobilità, assicurazioni comprese. Secondo i governi contrari, non sarebbe sufficiente la possibilità di vendere e comprare auto usate, che potranno continuare a circolare.
Accanto alla posizione contraria dell'Italia ci sono i Paesi dove il settore – per quantità di vetture prodotte e possedute – è particolarmente significativo. A partire dalla Germania (prima in Europa per numero di auto in circolazione) e dalla Polonia (terza). Contrarie anche Ungheria e Repubblica Ceca.
I numeri dell'inquinamento
Una transizione troppo repentina potrebbe portare cambiamenti significativi. D'altro canto, però, pare chiara la necessità di adottare misure urgenti. Il settore dei trasporti è, secondo dati pubblicati dall'Unione europea, l'unico settore che - tra il 1990 e il 2019 – ha registrato un aumento delle emissioni (+33%). Emissioni che arrivano per il 60% dalle automobili, cui si aggiunge un altro 27% imputabile agli autocarri.
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